I settori creativi sono costellati da concorsi: scrittura, fotografia, design, web, illustrazione, c’è l’imbarazzo della scelta. Purtroppo spesso nascondono molte insidie, a danno soprattutto degli esordienti. Quando ha senso partecipare a un concorso? A quali condizioni? Scopriamolo assieme con due casi-limite.
Spec Work e concorsi
“Spec work” è l’abbreviazione di speculative work. Indica le proposte di lavoro svantaggiose per chi accetta, spesso ai limiti dello sfruttamento o dell’illegalità.
I concorsi sono sempre spec work: fanno lavorare gratis un numero indefinito di persone e ricompensano soltanto una, premiandola con un valore inferiore alla quotazione di mercato per il lavoro svolto.
L’unica eccezione, rarissima, è se possiamo inviare materiale già realizzato in precedenza e mantenendo i nostri diritti di copyright.
1. La multinazionale: il caso Teelent/Toys
Toys Center è la catena di negozi di giocattoli di Prénatal Retail Group S.p.A, che in tutta Europa controlla anche i punti vendita Prénatal, Bimbo Store e King Jouet, 721 negozi in totale. Prénatal Retail Group, a sua volta controllata al 100% da Artsana S.p.A., sul suo sito dichiara 975 milioni di Euro incassati nel 2018.
Rileggete lentamente con me: novecento settantacinque milioni.
È scontato che un colosso del genere possa permettersi un reparto grafico di ottimi professionisti, nonché investimenti ingenti in comunicazione e marketing.
Invece per il restyling della sua mascotte, il cavallino Joy, si rivolge alla piattaforma Teelent, promuovendo un concorso aperto a chiunque per “proporre lo studio in 2D del nuovo personaggio, studiarne espressioni e posture e definirne i tratti distintivi di carattere, età e fisionomia.”
Il premio sono 1.000 Euro e la visibilità legata al marchio Toys Center.
Cosa non quadra
Prima dell’aspetto economico, affrontiamo un attimo il discorso della visibilità.
Ricordi il nome di un creatore di personaggi o mascotte famose che non sia anche a capo dell’azienda che li controlla (Walt Disney, Stan Lee, Iginio Straffi)? Oppure che abbia incassato sostanziose royalties diventando ricco anche lui (Stephen King, J. k. Rowling, George R. R. Martin)?
Se il tuo nome non viaggia insieme a ciò che hai creato, la tua visibilità è comunque pari a zero.
Ecco perché ogni richiesta dev’essere pagata il giusto, a prescindere da quanta visibilità potrebbe darci: la visiblità è un bonus che può capitare o meno. La paga è l’unica certezza del nostro valore sul mercato, oltre che arriveremo a fine mese.
Riguardo al lato economico, uno studio di character design per una multinazionale costa molto più dei mille euro di premio, per non parlare delle royalties sul materiale derivato: giocattoli, cartoni animati, ecc che nel concorso non sono inclusi.
Esatto, anche ammesso di vincere, l’azienda da 975 milioni ti darebbe appena mille euro e una pacca sulla spalla, mentre guadagna altri milioni sul design che tu gli hai praticamente regalato.
È inutile aggiungere un nome importante a curriculum se l’hai ottenuto lavorando gratis o quasi: il prossimo cliente di pretenderà lo stesso trattamento.
AGGIORNAMENTO: Invece di scegliere un vincitore, ecco cos’è accaduto.
“Il brand è rimasto così entusiasta delle proposte ricevute che sta valutando di fare un tour in tutta Italia coi 10 finalisti per farli conoscere e per far votare quale joy vincerà direttamente ai papà, alle mamme e ai bimbi!“
In pratica, le capacità professionali e tecnico-artistiche di chi sta tentando di ottenere un minimo riconoscimento dopo aver studiato e sudato per anni, saranno vagliate da persone totalmente ignoranti in materia e dai loro bimbetti che ragionano ancora di pancia (i focus group sono ben altra cosa).
Mi chiedo se lo staff di Teelent e i manager di Toys accetterebbero che il loro operato sul lavoro venisse giudicato dalla stessa giuria.
2. Passione e tasche vuote: il caso Ammatula
All’estremo opposto rispetto al caso precedente c’è Ammatula, una rivista letteraria che invita scrittori e illustratori a partecipare senza alcun compenso. La sua motivazione che è una realtà piccola e indipendente, che per sua stessa ammissione riesce a malapena a coprire le spese di stampa.
Gli scrittori potevano inviare un racconto a tema libero, magari già scritto, e in premio vedersi pubblicati (la solita visibilità e basta, senza neanche una pulciosa royalty, ma vabbè).
Invece agli illustratori veniva chiesto un tema preciso per la copertina e il premio era illustrare i racconti selezionati… cioè altro lavoro gratuito!
Diversi illustratori sono intervenuti contro il bando di Ammatula per spiegare le loro ragioni, proponendo anche soluzioni alternative come un premio simbolico. I gestori della rivista li hanno bloccati -quindi non potevano più difendersi sulla pagina- e fatti oggetto di un collage in stile “gogna mediatica”. Un comportamento immaturo e dilettantistico da bulletti delle medie.
La cosa più agghiacciante, però, è la risposta che è riuscita a strappargli l’illustratrice Francesca Resta: la rivista non ha soldi, quindi cerca artisti gratis, ma se avesse soldi non li pagherebbe comunque perché punterebbe a nomi più affermati!
Per sua stessa ammissione, Ammatula considera chi gli invia materiale un pollo da spennare, un ripiego perché non possono permettersi di meglio.
Se sei un pessimo imprenditore è colpa tua, non degli autori
Leggendo le risposte di Ammatula alla discussione, si evince un semplice fatto: si sono impuntati a fare il passo più lungo della gamba e scaricano la colpa di questo sugli altri.
Se un progetto editoriale costa troppo, al punto da non rientrare dei costi di stampa, ci sono molte soluzioni: così al volo me ne sono venute in mente sette, una sola delle quali basta a tagliare i costi del 30%, abbastanza per dividere una royalty del 20% tra gli autori e far guadagnare all’editore il 10% in più su ogni copia.
La passione ce l’abbiamo tutti. La differenza la fa l’approccio da imprenditore, compreso il rispetto verso chi ci fa notare gli errori permettendoci di migliorarci.
Concludo lasciandoti i commenti dello scrittore Andrea Marinucci Foa e mio, tratti dalla discussione nel gruppo Facebook Scrittori & Lettori Fantasy:
“Non ci sono soldi” è una triste realtà che pervade ogni campo, dall’informatica all’editoria. Se non ci sono soldi, ti fai la copertina da solo. […] Ti possono dire che hai “le pezze ar culo” perché non hai una copertina professionale. E in effetti è proprio così, ma almeno non truffi nessuno.
D’altra parte i profitti per l’editoria finiscono tutti in poche, pochissime mani rampanti. Lo sappiamo tutti, inutile nasconderci dietro un dito. O lasci la cultura a pochi gruppi mastodontici o lavori in economia. Ma non sei comunque autorizzato a sfruttare e imbrogliare nessuno.”
Ho una grande idea. Spettacolare. Una vera Ferrari.
Ma non posso permettermela, non ho un budget del genere.
Magari posso ripiegare su una vettura media, non si volteranno tutti a guardarla ma avrà una sua attrattiva e rispettabilità.
Ops, il budget non basta neanche per questo.
Magari coi risparmi posso permettermi un’auto usata, sarà casereccia ma con tutta la personalità ruspante della Panda del nonno.
Ma no, c’ho du’ spicci in croce che al massimo ci compro il portacenere.
Allora dal concessionario neanche mi presento, non mi faccio proprio vedere, perché mi manca la materia prima: in questo esempio sono solo i soldi, ma nell’editoria molto spesso sono anche le competenze e la conoscenza del settore.
Fai una pubblicazione per passione? Bravo.
Ma perché dovrei sacrificarmi pure io artista/scrittore?
E se la fai a pagamento, perché dovresti pagare tutti (stampatori, fiere, distributori) tranne me?
Lasciando da parte le competenze, che se apri agli esordienti significa che pure loro ne hanno più di te, il nostro tempo-vita è inestimabile.
I n e s t i m a b i l e.
Ogni ora spesa su proposte “ad caxum” non ce la restituisce nessuno, equivale a buttarla nel cesso e tirare lo sciacquone.
Ci sono mille altre cose più produttive che possiamo fare: investire sulla pubblicazione di un progetto personale, rinnovare il portfolio, lavorare a pagamento (qualsiasi lavoro) o fare un po’ di vita sociale.
Se ci viene chiesto di sacrificare il nostro tempo-vita, che sia un giorno o un minuto, ne deve valere la pena davvero. Il resto è fuffa.
PS: Ti sai chiedendo quali sono le 7 soluzioni per abbassare i costi di un progetto editoriale? Ne parlerò per esteso in un prossimo articolo. Iscriviti per non perdertelo! :D